In questi giorni di ospedale, lavorando sul dolore fisico, ho cercato di accettarlo e di incontrarlo fino in fondo come esperienza del momento: allora sono sprofondato in esso, ho sentito che mi premeva sulle tempie; infine la paura mi ha invaso; poi la frustrazione.

Poi pian piano tutto si è placato, è passato.

Non è ancora pace perché i pensieri sulle cose da fare irrompono... ma poi passano anche quelli.

Poi arrivano le proiezioni catastrofiche mentre l'elettromagnetismo rumoroso della TAC sta li a scandagliare i segreti del mio corpo. Poi invano cerco un cenno di intesa negli occhi evitanti dell’operatore. Poi anche questi pensieri passano.

Poi ci sono i frammenti delle storie dei vicini. Storie di transiti intestinali difficili, di ribellione al ricovero, di sostanze abusate per uscire da storie disperate e rabbiose, di amori virtuali e di amori traditi. Queste sono più difficili da lasciare andar via perché ci si mette anche la curiosità, il piacere di ascoltare. Anche curiosità e ascolto posso essere motivo di attaccamento. Solo ricordando che l'aggettivo "retto" accompagna ogni ingrediente dell'ottuplice medicina, i pensieri si stemperano, un po’ di silenzio si instaura e diventa più facile respirare.

La paura. Come è la paura? È la proiezione sul futuro di tutto ciò che potrebbe accadere: la sofferenza fisica, la malattia e il suo calvario, le conseguenze sulle relazioni intime o distanti, le conseguenze per le persone care, le conseguenze sul lavoro e sullo stato sociale. Allora ecco la voglia di scappare, l'impulso fisico a muoversi, i muscoli si tendono, i peli si rizzano. Le storie terrorizzanti si succedono e ogni volta mi catturano per qualche fotogramma attivando le mie reazioni fisiche. Le storie sono ogni volta differenti e coinvolgono il mio stato, i miei affetti e le mie relazioni. Il panico si manifesta come impossibilità di coordinare i pensieri e di agire: come disintegrazione dell'io. Poi la pace: superare la paura osservandola e riconoscendola come esperienza di quel corpo che si iper-attiva, di quell'io che sembra esplodere... ma che può continuare ad osservare... allora anche il corpo si placa.

A cosa penso allora? Alle tre rivelazioni che spinsero Siddharta ad andare incontro al mondo. In certi posti viene naturale.

Poi anche Facebook chiede: a cosa stai pensando?

Risposta: alla bellezza, guardando all'oro del mattino che si mescola al verde tra i rami di un pino che intravedo attraverso la serranda della finestra.

Intanto il mio vicino, un vecchietto dalla barba bianca che i compagni di gita hanno abbandonato senza memoria, si caca nel pannolone. E’ arrivato con il pullman dei pensionati e poi non è riuscito a tornare. È rimasto solo e sperso in una Roma frenetica e ostile. Una signora ha capito e lo ha accompagnato in ospedale; qui è rimasto per giorni, curato per i suoi innumerevoli acciacchi. Infine il servizio sociale è riuscito a trovare la famiglia; una mattina un uomo e una donna più giovani di lui ma con innumerevoli acciacchi pure loro sono venuti a prenderlo. Il servizio sociale ha guardato anche loro al di sopra di occhiali dorati.

Le cose cambiano. Mi è venuto da pensare ad Harry Potter. Harry Potter nel corso della saga incontra personaggi diversi e situazioni travolgenti che trasformano tutti i sentimenti siano essi belli o brutti. Harry Potter si trasforma nella sua individualità (il personaggio passa da preadolescente a giovane adulto e diventa fisicamente quasi irriconoscibile) ma anche come simbolo di un mondo; si trasforma in tutti i suoi aspetti, si trasforma per le sue proprie leggi che sanciscono l'eterna lotta tra il bene e il male ma anche per l'intervento e la crescita del giovane eroe.

Le cose cambiano. Il dolore è passato. Sono dimagrito. Posso finalmente uscire.

(27 maggio 2016)

 

 

Domani, dopo il sonno dell'oppio, mi sveglierò... in qualche luogo, in qualche tempo, in qualche modo mi sveglierò.

(6 dicembre 2016)