Qualche giorno fa, il portale Zeninthecity.org - al cui autore va la mia gratitudine per le letture proposte ogni giorno e che costituiscono, nel loro susseguirsi, un vero e proprio percorso di avvicinamento alla meditazione - ha proposto una riflessione di Robert Wright sulla pratica di Metta.

Mi sento di consigliarla vivamente: zeninthecity.org/buddhismo-secolare/robert-wright/meditazione-di-gentilezza-amorevole/

 

Qualche tempo fa un cliente mi chiese se seguendo gli incontri di mindfulness non avesse finito con il distanziarsi dalle cose piacevoli della vita, prospettiva che non gli piaceva affatto. Io, proprio come riporta il brano di Wright, ho risposto “no, la pratica meditativa non nega né soffoca l’amore, ma può cambiarne la natura”; o, meglio, devo aver risposto “ne cambia l’esperienza”. Questa è una prima questione su cui comunque a volte mi trovo ancora a riflettere, anche in relazione al mio interesse per la fotografia: contemplare per esperire.

Ho sempre sostenuto che fotografare è interagire con il mondo, con le cose, con la natura, con le persone… con sé stessi. Ho sempre accolto con perplessità l’esortazione a non fotografare durante viaggi e gite guidate per meglio godere delle bellezze di opere e paesaggi. Io credo che fotografare sia guardare profondamente il mondo, ascoltarlo, agire su di esso; quindi interagire. Inoltre io credo che se fotografare è interagire, allora fotografare può essere anche preghiera.

Ma tornando al brano di Wright, esso introduce un’altra questione che recentemente si ripropone alla mia riflessione: la relazione tra la meditazione di consapevolezza e gli aspetti etici della meditazione, tra la meditazione come pratica di presenza mentale e l’esplicita coltivazione degli stati mentali positivi o meglio “salutari”. Osservazione dello stato del corpo-mente versus coltivazione di benevolenza, gioia, compassione ed equanimità; in qualche modo mi si propone la distinzione tra fare e non fare, tra pratica psicoeducativa e pratica meditativa. Mi dico: l’MBSR è un’applicazione della mindfulness per scopi di aiuto e di cura non è percorso di illuminazione – i docenti sono stati chiari ed espliciti. Ma Mindfulness, anche nella definizione Jon Kabat-Zinn (per non scomodare i Maestri di Dharma), rimanda a uno stato mentale che consenta una ripercezione della realtà, un’esperienza non comune di relazione rinnovata con la realtà in cui concetti e valori non possono rimanere invariati.

Forse contemplare ed esperire sono la stessa cosa; non c’è bisogno di distinguerli.